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Passiamo ai fatti!

Passiamo ai fatti! 

Il momento è arrivato! In una location prestigiosa, presento il mio libro assieme ad amici, conoscenti e semplici curiosi.

Un evento che contribuirà a svelare non pochi segreti della mia opera. Siete tutti invitati. NON MANCATE!

Il ciottoloso enigma

È arrivato!

Dopo più di 40 anni di cammino lungo il greto del fiume, tra ciottoli lisci e aguzzi, è approdato alla foce!

Potete acquistare il libro nel link Amazon in basso.

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Incubi di un Arlecchino

E’ piuttosto difficile spiegare la genesi, la trasformazione e la rinascita di questo mio romanzo (il primo). Ci proverò, anticipandovi qualche brano della “Nota dell’autore” che si trova in calce al libro. Questa storia è stata scritta tanto tempo fa (e non quindi solo “ambientata” in tempi passati): negli anni ’80 – quando è stata scritta – non c’erano telefoni cellulari, computer, diavolerie tecnologiche di oggi ed altro; c’erano telefoni a cornetta, macchine calcolatrici, lire (nel senso della moneta), feste di Carnevale in casa (forse quelle ci sono ancora) ed altro. Proprio in quegli anni, all’epoca della prima stesura del romanzo – ma io la preferisco chiamare storia, dato che ho sempre adorato e stimato chi sa e sapeva scrivere storie semplici – affidai la lettura ad un’importante (forse la migliore) agenzia letteraria dell’epoca (che peraltro esiste ancora, anche se sotto diversa “sigla”); la critica e la recensione furono tutt’altro che buone, a parte alcune annotazioni lusinghiere sull’input del racconto, e rileggendole oggi mi sono accorto che probabilmente il critico non era riuscito a cogliere proprio la mia intenzione principale: e cioè quella di “commistione” fra la vita di tutti i giorni del giovane protagonista, i suoi desideri, le sue aspirazioni ed i suoi inevitabili dubbi, con le paure che ne fanno giocoforza parte e che si trasformano spesso in incubi che la condizionano e dai quali o si esce o si finisce “schiacciati”. Forse aveva ragione lui, che peraltro mi consigliava di rinunciare alla mediazione (mancata a suo dire) tra banale vita quotidiana e mistero e puntare decisamente su quest’ultimo, trasformando il racconto in una storia fantastica e del tutto “esoterica”: tuttavia, ciò era l’esatto contrario del mio intento (io puntavo proprio a questa mediazione) e forse la delusione di non essere riuscito ad esprimerla compiutamente, ha fatto sì che questo libro sia stato chiuso nel cassetto per più di trent’anni. Vi è peraltro un’altra precisazione, molto importante, da svelare e che il critico non sapeva (e non poteva sapere): la storia di questo racconto promana e prende vita diretta da una raccolta di poesie che avevo scritto poco tempo prima, se non contemporaneamente, e che aveva ed ha tuttora il titolo di “Maschere” e che doveva essere anche il titolo di questo romanzo; tuttavia, dopo tanto tempo, da quando cioè ho recuperato tutti i miei “scritti”, anche tale raccolta di poesie ha ritrovato vita e sta per essere pubblicata pressoché contemporaneamente, con il suo titolo originale; è ovvio perciò che non potevo pubblicare due libri diversi con lo stesso titolo, anche se indissolubilmente legati fra di loro. Se ne può cogliere la intima connessione negli svariati richiami (ed intere poesie) che vi sono all’interno della storia, anche in forma “visiva” e concreta (il libro che trova il protagonista, la copertina che si fa “vivente”, le poesie, ecc…). In conclusione, quindi, questo, più che romanzo, amo definirlo con molta presunzione: “Proesia”, cioè, esattamente quello che voleva essere: una commistione fra modo di narrare poetico e “prosaico” (non nel senso spregiativo”). Per lasciarvi un’ulteriore idea di quanto ho provato ad esprimere, guardate il link seguente, inserito nella sezione “Sipario”, con un video di presentazione: https://marcobiagetti.com/sipario/#IncubiArlecchino . Poi, ovviamente, acquistate entrambi i libri: https://www.amazon.it/dp/B0C12DKMGMhttps://www.amazon.it/dp/B0C5G9ZWNJ

Il baule nel solaio

Si chiude un cerchio lungo 44 anni…
Un viaggio di ritorno per proseguire il cammino.
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Man mano che maturava…l’idea di ritrovare, riscoprire e raccogliere tutto ciò che avevo scritto (o scarabocchiato) dal 1979 ad oggi – non ho infatti ritrovato cose scritte o abbozzate prima di tale anno, anche se da qualche recondita parte deve pur esserci – l’idea di non scartare nulla di ciò che trovavo (e tantomeno di correggerla, rielabolarla o riscriverla del tutto) si faceva sempre più piede e ne è nato fuori questo libro

Il coraggio e le sfide

Una lirica che parla del coraggio…non ci si deve mai tirare indietro, anzi, è meglio osare.

Da: “La notte e il pettirosso” (2021)

L’ALTALENA

Se hai deciso di salire sull’altalena

devi accettare il dondolio delle corde.

Non puoi pretendere l’immoto spazio

nel turbinio delle onde e il degradare

del vento nel cuore dell’uragano.

Ti ha insegnato il falegname

a smussare gli angoli dello scafo

e il padre a reggerti sul seggiolino.

Quando ti accingerai al salto

ricordati di fare la capriola.

Una poesia che ho scritto…rileggendo Ghiannis

Ghiannis Ritsos | Laboratori Poesia

ARRIVEDERCI

Tornando a casa da Monemvasià
L’odore dei narcisi mi pervadeva le narici, il petto
E la punta degli zoccoli.
Il vecchio amico mi salutava da lontano
Mostrando i suoi denti gialli – aperti –
E i capelli bianchi appena mossi dal vento.
Gli invidiosi con i loro lunghi coltelli non si vedevano.
Erano tutti morti.
Persino l’odore acre delle loro carcasse era scomparso
Cancellato dal profumo della brezza mattutina
E dal sentore del pesce fresco venduto al mercato.

M.B.
27 dicembre 2020

L’ispirazione poetica trae spunto pressochè sempre dalle piccole cose; in questo caso mi è bastato immaginare, mentre leggevo un brano da: “Molto tardi nella notte”, ultima raccolta di Ritsos pubblicata postuma, di essere stato a Monemvasià, sua città natale. Un piccolo, semplice omaggio doveroso.

Una poesia che avrei voluto scrivere: “Un seme fra le mani” (Giancarlo Baroni) – di Mauro De Maria.

Un seme fra le mani

Ti seppelliamo con un seme fra le mani

spunta dal suolo germoglia cresce

ti fa ombra d’estate

le foglie ti coprono in autunno

lo battezziamo col tuo nome gli parliamo.

Questa è la poesia che conclude l’omonima sezione dell’ultimo lavoro poetico di Giancarlo Baroni (“I nomi delle cose” puntoeacapo editrice, 2020)

L’autore (unitamente all’altra grande passione artistica cui si dedica, la fotografia) da anni porta avanti il suo messaggio poetico delicato e suadente; i suoi versi paiono integrarsi con la quotidianità degli eventi di cui sa cogliere spesso gli elementi taciuti e sotterranei, qualità che è certamente consona alla scrittura poetica e ne costituisce una peculiarità.

Baroni ama spaziare fra quadri naturali, spesso legati a vissuto e luoghi personali, così come dare voce a figure storiche note o anonime che rivivono gli eventi in prima persona, spesso portando alla luce inediti tagli di lettura; quella delicatezza di linguaggio citata, la leggerezza di parole che facilitano la comunione col lettore divengono una sorta di scandaglio che mentre sprofonda in spazi e tempi privati o pubblici trascina e rende partecipe dei testi chi vi s’immerge.

La poesia qui proposta è inserita, come accennato, in una breve sezione dedicata al tema della morte, o meglio del passaggio fra la vita e un’altra forma di esistenza; si tratta, naturalmente, di un argomento fra i più praticati dai poeti, affascinati dall’insondabilità di un mondo ultraterreno che in qualche modo, anziché annullarla, prolunga la vita oltre il suo limite naturale, secondo la straordinaria (al solito) intuizione di Brodskij, autore amato anche dal nostro, per cui l’arte non imita la vita, ma la morte ossia “la più lunga versione possibile del tempo”. In questi versi molto belli l’autore pare amplificare la possibilità d’una nuova esistenza; sceglie una forma di rinascita simboleggiata dal seme sepolto e pare cogliere l’eco di parole evangeliche secondo cui solo il seme che sprofonda nella terra darà frutto e non sarà disperso al vento; ecco dunque che la scelta consapevole di chi resta, il gesto pensato e attuato perché l’unione non si spezzi raggiunge il suo scopo e nell’amata integrazione con la natura, che il poeta da sempre persegue, si realizza in poesia la fusione di vite diverse e partecipi, il flusso circolare della rinascita.

Una poesia che avrei voluto scrivere: “Punta secca” (Corrado Govoni)

Punta secca

Sei magra e lunga
eppure hai tanta forza plastica
nel corpo gentile
che se abbandoni i gomiti sul pozzo
o contro il muro
del cortile
il bel corpo rovescio
serrati gli occhi
strette le labbra sciolti i ginocchi
con quell’uncino di ricci
nel mezzo della fronte e ad un capriccio
improvviso ti distacchi
t’impenni e via saetti come da fionda
su quegli alti tuoi tacchi
di stella che nel sole
quasi non ti si vede
più tanto sei bionda;
si può giurar per certo
che tu con quel tuo premer duro
un incavo hai aperto
 nel docile marmo e nel muro.
Attacchi d’ali strappate
ti palpitan le reni;
così sottile e senza seni
li hai tutti nei ginocchi.
Ma l’orchidea tu l’hai negli occhi.

L’esordio poetico di Corrado Govoni è folgorante: nel 1903, a 19 anni, pubblica la raccolta “Le Fiale” seguita dopo pochi mesi da “Armonia in grigio et in silenzio”; è l’inizio di una convivenza coi versi che, pur attraversando diverse stagioni stilistiche a cui il poeta aderirà, manterrà sempre come elemento portante il culto della parola secondo una sua stessa definizione di poesia: “sentimento espresso con parole calde, fantastiche, colorate, musicali”. Il suo lessico ricercatissimo, soprattutto nella sua prima stagione produttiva che lui stesso riassumerà curando l’antologia “Poesie scelte” (1918), straripa nella sovrapposizione d’immagini, in una sorta di accumulazione progressiva e ridondante comunque in grado di portare in risonanza le emozioni, come fossero corde d’uno strumento e sfruttando fonti d’ogni tipo: “una carovana che porta indifferentemente materiali rari e preziosi e oggetti comuni e banali o fin di scarto” dirà Sinisgalli. Tale analisi è avvalorata dalla grande influenza esercitata dalla ricchezza delle immagini di Govoni su diversi poeti del novecento, anche quelli destinati a divenire maestri riconosciuti, quali Ungaretti e Montale (bastino a scopo dimostrativo della sua capacità evocativa un paio d’impressioni primaverili: “le rondini turbinavan come spole/ canore pel telaio grande dell’azzurro” o ancora “le rondini sui fili come note nel rigo”).

Nel tempo la sua ricerca metrica lo ha portato ad allontanarsi dalle forme chiuse dei primi lavori per sperimentare la stagione futurista e, fra i primi, il verso libero, sfrondando successivamente i testi e comunque recuperando un’impostazione nel solco della tradizione classica che non ha mai abbandonato.

“Punta secca” è una poesia inserita nella raccolta “Canzoni a bocca chiusa” del 1938.

Il verso si frammenta e il lessico diviene più immediato, il ritratto della protagonista del testo è costruito attraverso una cadenza ritmica e musicale che riflette la ricerca stilistica del poeta e, anche in tal caso, la sua tipica predilezione per  la progressiva sovrapposizione d’immagini; ma ancora più raffinata, con frenate e apparenti ristagni di suono che si schiudono in improvvise ripartenze. L’intera prima parte del testo consta di un unico periodo che, tramite i cambi ritmici citati, lascia il lettore col fiato sospeso attraendolo in un vortice fino al punto fermo; e qui si scioglie la forza creativa di Govoni, nell’immagine del muro modellato e scavato dal semplice gesto della donna che vi appoggia i gomiti.

Ma forse l’esercizio sistematico alla scrittura che per anni il poeta ha praticato ha generato nel testo un’incrinatura imprevista: la parte finale pare un poco forzata e allenta la tensione emotiva crescente fino al punto che chiude il primo periodo; questa scelta che tende a riportare a terra il testo non mina comunque la luce emotiva che, nel complesso, lo pervade, velandolo d’una sotterranea malinconia e in tal senso facendo eco a ciò che Betocchi scrisse parlando dei versi di questo autore, trovando sempre in Govoni il “rimpianto di una felicità dalla quale si sente escluso”.

                                                                          (Mauro De Maria)